Un libro fantastico. Oltre all’introduzione accuratamente scritta, il testo è stato per me una grossa fonte di ispirazione. Ammiro come Agostino accompagni con questo suo discorso e metodo di scrittura, il lettore in tutto il suo susseguirsi di pensieri per arrivare alla esposizione della sua tesi. I capitoli più ricchi e interessanti sono stati decisamente gli ultimi. Una conclusione magistrale con pensieri sul maestro Interiore; la guida che si esprime mediante il nostro intuito per portare alla luce ciò che realmente possiamo dire di Sapere.
Ma come poter, tramite parole, rendere cosa significhi il messaggio contenuto in questa meravigliosa Opera? Come dice Agostino, le parole o segni presuppongono la conoscenza delle cose.
Accolgo con piacere il tuo dubbio; poiché rivela un’anima non avventata, e ciò assicura grandemente la tranquillità. È difficilissimo non agitarsi, quando ciò che tenevamo con facile e proclive consenso, per la discussione in contrario, crolla e, quasi, ci è strappato di mano. Perciò com’è giusto cedere, dopo aver osservato ed esaminato bene le ragioni, così è rischioso tenere come conosciuto ciò che non lo è. Sfuggendoci quasi di sottomano, ciò che presumevamo fosse fermo e rimanesse, vi è timore che veniamo in così grande odio o paura della ragione da sembrare che neppure alla verità evidente si debba prestar fede.
Perciò, piuttosto, conosciuta la cosa, s’impara il segno, che, dato il segno, s’impara la cosa.
Piuttosto, come ho detto, impariamo il valore della parola, ossia il significato che è nascosto nel suono, dalla conoscenza o dalla percezione della cosa stessa significata, e non già la cosa stessa dal significato.
Quando si preferiscono Delle parole si ha perfettamente ragione di dire che noi sappiamo o non sappiamo quello che significhino; se lo sappiamo, le parole più che insegnarlo ce lo ricordano; se non lo sappiamo, non ce lo ricordano nemmeno, ma forse ci spingono a cercare.
Dice infatti il profeta: se non credete non comprenderete; il che certo non avrebbe detto se non avesse fatto nessuna differenza fra le due cose. Quello adunque che comprendo, lo credo anche; ma non tutto ciò che credo anche lo comprendo. Tutto quello che comprendo lo so; ma non tutto quello che credo lo so. Del resto non ignoro quanto sia utile credere anche molte cose che non so, utilità che trovo anche nella storia dei tre fanciulli. Perciò non potendo sapere gran parte Delle cose, so tuttavia quanto sia utile credere.
Colui che interroga, se non vede, crede alle parole, o spesso non crede; ad ogni modo non impara, se non vede anche lui quello che gli è stato detto: e così non impara dalle parole che sono state un semplice suono, ma dalle cose stesse e dai sensi. Poiché risuonano a chi vede, le stesse parole che risuonano a chi non vede.
Si ha dunque da credere che insegni quello che non sa? Eppure si serve Delle stesse parole di cui potrebbe servirsi anche colui che sa.
Ho imparato che colle parole non si fa nient’altro che stimolare l’uomo ad apprendere, e che è già molto se attraverso la parola traspare qualche po’ di pensiero.