La seguente traduzione è stata fatta per riportare nella versione italiana di Wikipedia, informazioni contenute nella versione inglese.
Nei suoi numerosi lavori Abulafia ha riposto molta attenzione nel trovare metodologie per unirsi all’ Agente Intelletto, o Dio, attraverso la recitazione di nomi divini in concomitanza con tecniche di respirazione e pratiche di catarsi.
Alcune delle metodologie mistiche di Abulafia sono state poi adottate da Ashkenazi Hasidim. Prendendo come punto di riferimento il sistema metafisico e psicologico di Moses Maimonides (1135/8–1204), Abulafia ambiva ad esperienze spirituali le quali vedeva come stati profetici simili o persino identici a quelli degli antichi profeti ebrei.
Abulafia suggeriva un metodo basato su stimoli che cambiano continuamente. La sua intenzione non era di rilassare la mente tramite la meditazione, ma di purificarla mediante un elevata concentrazione che richiedeva il fare diverse azione allo stesso tempo. Per farlo, utilizzava anche le lettere ebraiche.
Il suo metodo includeva una sequenza di passaggi.
Durante l’ultimo passaggio di immaginazione, il mistico passa in successione quattro esperienze. La prima è un’esperienza di illuminazione corporea, nella quale una luce non solo gli circonda il fisico ma irradia anche da esso, dando l’impressione che sia l’esterno che l’interno del corpo illuminino. Continuando nella pratica, il cabalista arriva alla seconda esperienza: il risveglio del corpo. Segue la terza esperienza in cui il praticante può percepire un miglioramento nel modo di pensare con maggiore lucidità mentale e capacità di immaginazione. La quarta fase è caratterizzata principalmente da paura e tremori.
Abulafia enfatizza il fatto che i tremori siano un passaggio necessario di base per poter profetizzare (Sitrei Torah, Paris Ms. 774, fol. 158a). Scrive: “tutto il tuo corpo comincerà a tremare, i tuoi arti cominceranno ad agitarsi e tu sentirai una paura insormontabile […] tutto il corpo tremerà, come il fantino che cavalca il cavallo, allegro e felice, mentre il cavallo trema sotto di lui.” (Otzar Eden Ganuz, Oxford Ms. 1580, fols. 163b-164a; vedi anche Hayei Haolam Haba, Oxford 1582, fol. 12a).
Per Abulafia la paura è seguita da un’esperienza di piacere e meraviglia. Questo sentimento è il risultato di percepire un altro “spirito” nel proprio corpo, come descrive nel suo libro Otzar Eden Ganuz: “E tu dovrai sentire un altro spirito risvegliarsi in te, rinforzandoti e attraversando tutto il tuo corpo dandoti piacere.” (Oxford Ms. 1580 fols. 163b-164a).
Solo dopo aver passato queste esperienze il mistico raggiunge il suo obiettivo: la visione di una forma umana, che assomiglia ed è strettamente legata al proprio corpo fisico, di fronte ad esso. L’ esperienza è maggiore quando il mistico ha esperienza di tutte le sue forme interne ed esterne (visione di autoscopia). Il clone comincerà a parlare con il mistico, insegnandogli lo sconosciuto e rivelandogli il futuro.
Abraham Abulafia descrive l’esperienza di vedere una forma umana diverse volte nei suoi scritti. Comunque, inizialmente non è chiaro chi sia questa forma. Dal momento in cui la forma e il mistico cominciano a dialogare, il lettore capisce che questa forma è l’immagine riflessa dello stesso mistico. Rivolgendosi ai suoi studenti e seguaci, nel libro Sefer haKheshek, Abulafia elabora ulteriormente lo scenario:
Siediti pensando che un uomo sia in piedi presente ad aspettare che tu parli con lui; lui è pronto a risponderti ad ogni domanda. Tu dirai sparla, e lui risponderà […] cominciando a pronunciare [il nome] e recitando prima “la testa delle teste” [es. la prima combinazione di lettere], prolungando il respiro rendendolo più calmo. Dopodiché indietreggia come se ci fosse uno di fronte a te che ti risponde, e sarai tu stesso a rispondere, cambiando la tua voce.
Apparentemente, utilizzando le lettere del “Nome” con specifiche tecniche di respirazione, la forma umana dovrebbe apparire. Solo nell’ultima sentenza Abulafia suggerisce che questa forma sei te stesso.
Ancora, come ha esplicitamente detto e spiegato in un altro libro, Sefer haYei haOlam haBa: “E considera la sua risposta, rispondendo come se fossi tu stesso a rispondere” (Oxford Ms. 1582, fol. 56b). Gran parte delle descrizioni di Abulafia sono scritte in modo simile. Nello Sefer haOt, Abulafia descrive un episodio simile, ma da un esplicita esperienza personale:“Ho visto un uomo venire da ovest con una grande armata, ventidue mila guerrieri […] E quando ho potuto avere visione del suo volto, sono rimasto stupito, il mio cuore ha tremato con me, ho lasciato il mio posto e ho desiderato che Dio mi aiutasse chiamandolo, ma nel farlo ho eluso il mio spirito. Quando questo uomo ha visto la mia grande paura e soggezione, ha aperto la bocca e ha parlato, ha parlato aprendo la mia bocca, ed io ho risposto in accordo con le sue parole, e pronunciando quelle parole ero diventato un altro uomo. (pp. 81–2).”