creato: 13 06 2020; modificato: 22 10 2023

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Aut-aut: estetica ed etica nella formazione della personalità

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Estratti

la tua maschera è la più misteriosa di tutte; infatti non sei nulla, e sei sempre soltanto in relazione agli altri, e ciò che tu sei, lo sei per questa relazione.

In ogni uomo vi son degli ostacoli che, in un certo senso, non gli permettono di diventare completamente trasparente a se stesso; la cosa può raggiunger tali proporzioni, egli può, a sua insaputa, venir talmente coinvolto in circostanze di vita che stanno al di fuori di lui, che egli perde la capacità di manifestarsi;

l’eco risuona solo nel vuoto.

Sentiresti che quello che veramente importa non è tanto formare il proprio spirito, quanto maturare la propria personalità.

se vorrai avere l’energia necessaria, puoi vincere, il che è la cosa principale nella vita, puoi vincere te stesso, conquistare te stesso.

in cui non ha più la libertà della scelta, non perché ha scelto, ma perché non l’ha fatto, il che si può anche esprimere così: perché gli altri hanno scelto per lui, perché ha perso se stesso.

La scelta estetica o è completamente spontanea, e perciò non è una scelta, o si perde nella molteplicità.

Se mi vuoi comprendere bene, posso dire che nello scegliere non importa tanto lo scegliere giusto quanto l’energia, la serietà e il pathos col quale si sceglie.

Infatti se la scelta è intrapresa con tutta l’intensità della personalità, quest’ultima ne resta purificata e vien posta in una relazione spontanea con quel potere eterno, che, onnipresente, compenetra tutta l’esistenza. Questa trasfigurazione, questa più alta iniziazione, non la raggiungerà mai chi sceglie solo esteticamente.

Ti voglio solo condurre al punto in cui questa scelta acquisterà un vero significato per te. Intorno a essa si muove ogni cosa. Quando si è riusciti a condurre una persona al bivio, in modo che per lui non vi sia altra via d’uscita che la scelta, allora egli sceglie il giusto.

Se il mio figlioletto fosse adesso nell’età di potermi comprendere e fosse giunta la mia ultima ora, gli direi: non ti lascio né sostanze né titoli né onori; ma so dove giace un tesoro che ti può far più ricco di ogni cosa al mondo, e questo tesoro ti appartiene e di esso non devi ringraziare me, perché non voglio che il tuo spirito abbia a soffrire nel dovere tutto a una persona: questo tesoro è sepolto nel tuo interno, è un aut-aut che rende gli uomini più grandi degli angeli.

La grandezza, infatti, non consiste nell’essere questo o quello, ma nell’essere se stesso, e questo ciascuno lo può se lo vuole.

Ma cosa vuol dire vivere esteticamente e cosa vuol dire vivere eticamente? Cosa è l’estetica nell’uomo, e cosa è l’etica? A ciò risponderò: l’estetica nell’uomo è quello per cui egli spontaneamente è quello che è; l’etica è quello per cui diventa quello che diventa. Chi vive tutto immerso, penetrato nell’estetica, vive esteticamente.

Pare quasi superfluo voler illuminare su cosa sia il vivere estetico,

Certo, un esteta non si preoccupa di leggere e quindi formare tale disserzione

Ma chi scorge nel godimento il senso e lo scopo della vita, sottopone sempre la sua vita a una condizione che, o sta al di fuori dell’individuo, o è nell’individuo ma in modo da non essere posta per opera dell’individuo stesso.

la condizione del godimento della vita sta nell’individuo, ma in modo che non è posta dall’individuo stesso.

È uno dei tuoi imperiali divertimenti non sfuggire, non spaventarti dinnanzi a nessun pensiero. Per soddisfarlo non occorre guardia imperiale, né oro né argento, né tutti i tesori del mondo; si può starsene soli a pensare in tutta quiete; è più saggio ma non meno spaventoso.

eppure non sono certo un giudice indulgente, benché, in un altro senso, io non giudichi mai nessuno. Ma credimi, la parola che uso non è troppo indulgente, è vera.

malinconia tra i peccati capitali. Se ciò è esatto, la cosa è davvero molto spiacevole per te, perché capovolge tutta la tua concezione di vita. Per prudenza, voglio subito osservare che l’uomo può avere dei dolori e delle preoccupazioni talmente sconfinati da seguirlo forse per tutta la vita, e questo può anche essere bello e vero, ma malinconico l’uomo lo diventa solo per colpa propria.

Vi è qualche cosa di inspiegabile nella malinconia. Chi ha dolori e preoccupazioni sa perché è triste e preoccupato. Se si domanda a un malinconico quale ragione egli abbia per esser così, cosa gli pesa, risponderà che non lo sa, che non lo può spiegare. In questo consiste lo sconfinato orizzonte della malinconia. Questa risposta è giustissima: poiché non appena egli conosce il perché, la malinconia è dissipata, mentre il dolore di chi soffre non è affatto sollevato se conosce perché soffre. Ma la malinconia è un peccato, è veramente un peccato instar omnium, poiché è peccato non volere profondamente, e sentitamente; questo è il padre di tutti i peccati.

poiché tu non supponi, come molti medici, che la malinconia risieda nel corpo; lo strano è che cionondimeno i medici non sono capaci di guarirla; solo lo spirito la può dissipare, poiché risiede nello spirito, e, quando questo trova se stesso, scompaiono tutti i piccoli dolori, le cause che, secondo alcuni, producono la malinconia – non trovarsi a proprio agio nel mondo, giungervi troppo presto o troppo tardi, non trovare la propria sistemazione –, poiché chi possiede se stesso eternamente, non giunge nel mondo né troppo presto né troppo tardi, e chi possiede se stesso nel suo eterno valore troverà certo il suo significato in questa vita.

respingendo sempre da te le condizioni. Ma è naturale che chi gode se stesso respingendo le condizioni dipende da esse come colui che le gode. Deve pur averle per poter godere del fatto di buttarle via.

ma non desideravo nemmeno fare di più; per me non sono importanti i diversi stadi, ma solo il movimento che si deve necessariamente compiere per trarsene fuori, come ti dimostrerò, ed è su di esso che ti prego di fermare la tua attenzione.

per me non sono importanti i diversi stadi, ma solo il movimento che si deve necessariamente compiere per trarsene fuori,

Ora siccome disperano, sarà perché disperavano anche prima. La differenza è solo che prima non lo sapevano, ma questa è una differenza del tutto casuale. Appare dunque che ogni concezione estetica della vita è disperazione, e che chiunque vive esteticamente è disperato, tanto se lo sa quanto se non lo sa. Ma quando lo si sa, e tu lo sai, una forma più elevata di esistenza è una esigenza imperiosa.

Quando nella vita mi è accaduto qualcosa, quando ho preso una decisione che temevo dovesse, coll’andar del tempo, prender per me un altro volto, quando ho fatto qualcosa a cui temevo, coll’andar del tempo, di dover dare un’altra interpretazione, spesso con poche e chiare parole ho scritto ciò che intendevo o quello che avevo fatto e il perché. Quando poi ne sento il bisogno, quando la mia decisione o la mia azione non sono vive davanti a me, prendo il mio scritto e mi giudico.

ti manca la memoria per la tua vita intima, per quello che in essa hai vissuto. Se tu l’avessi, lo stesso fenomeno nella tua vita non si ripeterebbe tanto sovente, essa non mostrerebbe tanti di quelli che io chiamerei lavori di mezz’ora, perché li posso chiamare così anche se hai impiegato mezz’anno per compierli, perché non li hai finiti.

nulla di finito, infatti, nemmeno l’intero mondo può soddisfare l’animo umano, che sente il bisogno dell’eterno.

divenir coscienti di se stessi nel proprio eterno valore è il momento più importante di tutta la vita

non disprezzare la vita, onora ogni sforzo lodevole, ogni modesta attività, che umile si nasconde; e abbi, soprattutto, un po’ più di rispetto per la donna; credimi, è proprio da lei che viene la salvezza, come è certo che la perdizione viene dall’uomo.

Non gli verrà mai la folle idea di assopire il proprio spirito o di trascurare la propria educazione, per poter in certo qual modo raggiungere la parità; egli conserverà le doti dello spirito, ma nel profondo del suo cuore egli, tra sé e sé, saprà che chi le possiede è uguale a chi non le possiede

Oppure immagina uno spirito profondamente religioso, che, per vero e ardente amor del prossimo, si gettasse nel mare della disperazione fino a trovare l’assoluto, il punto in cui è indifferente se una fronte è bassa, o se si eleva più superba del cielo, il punto che non è l’indifferenza ma l’assoluto valore, perché sotto tutte le fronti abita l’uomo eterno.

Tu hai parecchie buone idee, molte idee buffe, moltissime assurde; tienile tutte, non pretendo che tu rinunci a esse. Una delle tue idee però ti prego di tenerla salda, una idea che mi accerta che il mio spirito è consanguineo al tuo.

L’ideale poetico è sempre un falso ideale, poiché il vero ideale è sempre quello reale.

Il dubbio è la disperazione del pensiero, la disperazione è il dubbio della personalità;

Il dubbio sta perciò nella differenza, la disperazione nell’assoluto. Per dubitare occorre del talento, ma per disperare non ne occorre affatto. Ma il talento come tale è una differenza, e quello che per farsi valere esige una differenza, non sarà mai l’assoluto; perché l’assoluto può solo essere l’assoluto per l’assoluto.

ritorno all’importanza dello scegliere. Quando dunque scelgo in modo assoluto, scelgo la disperazione, e nella disperazione scelgo l’assoluto poiché io stesso sono l’assoluto; io pongo l’assoluto e sono l’assoluto stesso; ma come perfettamente identico a esso devo dire: io scelgo l’assoluto che sceglie me, io pongo l’assoluto che pone me; poiché se non ricordo che quest’altra espressione è altrettanto assoluta, la mia categoria dello scegliere è falsa, perché è proprio l’identità di ambedue. Quello che scelgo non lo pongo, perché se non fosse posto non lo potrei scegliere; eppure, se non lo ponessi nell’atto della scelta, non sceglierei realmente. Esso è, poiché se non fosse, non lo potrei scegliere; non è, perché diventa solo in quanto lo scelgo: altrimenti la mia scelta sarebbe illusione.

No, perché io scelgo in modo assoluto, e scelgo in modo assoluto proprio in quanto ho scelto di non scegliere questa o quella cosa. Io scelgo l’assoluto. Ma cos’è l’assoluto? Sono io stesso nel mio eterno valore. Altro all’infuori di me stesso non potrò mai scegliere come assoluto; poiché se scelgo qualche cosa d’altro lo scelgo come una cosa finita, e perciò non lo scelgo in modo assoluto.

Ma cosa è questo me stesso? Se volessi parlare di un primo momento, di una sua prima espressione, la mia risposta sarebbe: è la cosa più astratta di tutte, che nello stesso tempo in sé è la più concreta – è la libertà.

quello che vien scelto non esiste e vien creato dalla scelta; quello che vien scelto esiste, altrimenti non sarebbe una scelta. Infatti, se quello che io scelgo non esistesse ma divenisse in modo assoluto con la scelta, non sceglierei, ma creerei; ma io non creo me stesso, scelgo me stesso.

ci vuole del coraggio per scegliere se stesso; poiché, mentre pare che egli si isoli più intensamente che mai, nello stesso tempo egli si sprofonda più che mai in quella radice per la quale è congiunto al tutto. Questo lo preoccupa eppure deve essere così: infatti quando l’ardore della libertà si è risvegliato in lui (e si è risvegliato nella scelta, così come esso presuppone se stesso nella scelta), egli sceglie se stesso e la lotta per questo possesso come per la propria suprema salvezza, e questa è la sua suprema salvezza

vi è anche un amore col quale amo Dio, e questo ha un’espressione sola nella lingua: il pentimento. Se non l’amo così, non lo amo in modo assoluto con tutto il mio essere più profondo. Ogni amore diverso per l’assoluto è un malinteso. Quando io tento di cogliere l’assoluto con la passione del pensiero (anche questo è un amore per l’assoluto, che io lodo), non è più l’assoluto che io amo, non amo in modo assoluto.

Quello che ho esposto fin qui non è sapienza cattedratica: è cosa che ciascuno può capire sol che lo voglia e ognuno può volerlo, se veramente vuole.

è assai bello che un figlio si penta delle colpe del padre, eppure non lo farà per amor mio, ma solo perché così può scegliere se stesso. Succeda poi quel che vuol succedere; spesso quello che noi riteniamo sia il meglio può avere delle influenze perniciose sull’uomo; ma anche tutto questo è nulla. Io gli posso fare molto bene, e io mi sforzerò di farlo, ma il bene più alto egli solo lo può fare a se stesso. Ecco perché l’uomo fa tanta fatica a scegliere se stesso, perché qui l’assoluto isolamento è identico alla più profonda continuità, perché, fin che non hai scelto te stesso, vi è come una possibilità di diventare qualcosa di diverso, o in un modo o nell’altro.

Quanto maggiore è la libertà, tanto maggiore è la colpa, e questo è il segreto della beatitudine.

La scelta originaria è sempre presente in ogni scelta susseguente.

Ogni disperazione finita è uno scegliere le cose finite; infatti io le scelgo tanto quando le ricevo come quando le perdo. Non è in mio potere riceverle o perderle, ma bensì lo sceglierle.

Perciò quanto più tu ti sprofondi in te stesso tanto più sentirai il significato perfino dell’insignificante, non in senso finito ma infinito, perché è posto da te. Quando in senso etico ci si sceglie così, non è solo una riflessione su se stessi, ma si potrebbe, per denotare questo atto, ricordare le parole della Scrittura, di tener conto di ogni parola ingiusta che è stata detta.

Egli diventa se stesso, proprio il medesimo di prima, fin nella particolarità più insignificante, eppure diventa un altro, poiché la scelta tutto compenetra e trasforma. Così la sua personalità finita diventa infinita con la scelta in cui egli sceglie se stesso in modo infinito.

Tu pensi costantemente alle differenze relative, mai alla differenza assoluta.

Davvero, mio giovane amico, occorre molto coraggio etico per voler seriamente che la propria vita non consista nel differenziarsi ma nell’aderire a ciò che è semplicemente umano.

L’arte di signoreggiare il piacere non sta tanto nel distruggerlo o nel rinunziarvi completamente, quanto nel determinare il momento.

ogni concezione che fa dipendere il senso della vita da qualcosa di esteriore è disperazione.

Se il dolore è legato a un singolo avvenimento è ben difficile che duri in eterno.

Soffrire è bello, e nelle lacrime vi è del vigore; ma non bisogna soffrire come un uomo senza speranze.

Finché il dolore è calmo e timido, non lo temo; se diventa impetuoso e appassionato e vuole con sofismi portarmi allo scoraggiamento, allora insorgo; non sopporto nessuna ribellione, non voglio che nessuna cosa al mondo faccia sfuggire quello che ho ricevuto come una grazia dalla mano di Dio. Non scaccio il dolore, non cerco di dimenticarlo, ma mi pento. E anche se il dolore è tale che non sono io che ne ho colpa, mi pento perché ho permesso che avesse potere su di me, perché non l’ho portato subito a Dio; se avessi agito così non avrebbe avuto nessun potere di sedurmi.

v’era il peccato degli avi che pesava su di essa. E qui il pentimento si mostra in tutto il suo profondo significato: poiché mentre in un modo mi isola, in un altro modo mi lega indissolubilmente a tutta la stirpe; perché la mia vita non comincia nel tempo col nulla, e se io non so pentirmi del passato, la libertà è un sogno.

la vita del mistico è assai più profonda. Egli ha scelto se stesso in modo assoluto (è raro sentire un mistico che si esprime così; egli quasi sempre usa l’espressione apparentemente contraria, e afferma che ha scelto Dio; la cosa per questo non cambia, come mostrammo più sopra; poiché se non ha scelto se stesso in modo assoluto, non ha una relazione libera con Dio, e nella libertà sta proprio la particolarità della pietà cristiana).

Chi può negare che l’uomo deve amare Dio con tutta la sua anima e con tutto il suo pensiero, anzi non solo che lo deve, ma anche che l’adempimento di questo dovere è la beatitudine stessa? Non ne consegue affatto però che il mistico debba disprezzare quell’esistenza, quella realtà in cui Dio l’ha posto; perché con ciò evidentemente disprezza l’amore di Dio o esige per esso un’espressione diversa da quella che Dio vuol dare.

Il mistico giustifica la sua relazione con Dio dicendo che egli, proprio per quello che è, e cioè per una qualche combinazione, è oggetto dell’amore speciale della divinità. Con questo egli degrada tanto Dio che se stesso. Se stesso perché è sempre un degradamento esser essenzialmente diversi dagli altri a causa di alcunché di casuale; Dio, perché un Dio che ha dei favoriti non è Dio ma un idolo.

La temporalità dunque non esiste, per così dire, a cagione di Dio, perché egli in essa, per parlare misticamente, possa provare e tentare chi lo ama; essa esiste a cagione dell’uomo ed è il dono di grazia più grande di tutti. In questo infatti sta l’eterna dignità dell’uomo, che egli può avere una storia; in ciò sta il divino in lui, che egli stesso, se vuole, può dare continuità a questa storia: continuità essa l’acquista soltanto quando non è la somma di quanto mi è successo o accaduto, ma la mia propria azione, così che perfino quello che mi è casualmente accaduto, in me è trasformato e trasportato dalla necessità alla libertà.

è una superstizione credere che sia qualcosa che viene dal di fuori ciò che può render felice un uomo.

quando un uomo teme la limpidezza, sfugge sempre l’etica, perché questa veramente non cerca altro.

È strano che con la parola dovere si finisca per pensare a una relazione esteriore, benché l’etimologia di questa parola denoti una relazione interiore: perché quello che è imposto a me, non come questo individuo casuale, ma secondo il mio vero essere, sta, credo bene, nella relazione più intima con me. Il dovere infatti non è una imposizione, ma qualche cosa che è compito per la personalità. Quando il dovere vien visto così, l’individuo è giustamente orientato in se stesso.

Il dovere dunque non si frantumerà per lui in una somma di singole imposizioni, perché questo denoterebbe che egli sta solo in un rapporto esteriore con esso. Egli si è immedesimato nel dovere che è per lui l’espressione del suo essere più intimo. Quando egli si è orientato in se stesso così, si è sprofondato nell’etica, e non correrà col fiato grosso in caccia del suo dovere. Il vero individuo etico perciò ha una calma e una sicurezza in sé, perché non ha il dovere fuori di sé ma in sé.

È questo il segreto che sta nella coscienza, è questo il segreto che la vita individuale ha in se stessa, di essere insieme individuale e universale, anche se non spontaneamente come tale, ma secondo la sua possibilità.

Chi considera la vita eticamente vede l’universale, chi vive eticamente esprime nella sua vita l’universale, diviene uomo universale, non per il fatto che si spoglia della sua concretezza (perché così si dissolverebbe proprio nel nulla), ma col vestirsi di essa e compenetrarla coll’universale.

L’uomo universale infatti, non è un fantasma; ogni uomo è uomo universale; cioè: a ciascuno è stata assegnata la via lungo la quale diventare uomo universale. Chi vive esteticamente è l’uomo casuale, egli crede di essere l’uomo perfetto per il fatto che è unico nel suo genere; chi vive eticamente si adopera per diventare uomo universale.

Essere uomo singolo di per sé non costituisce nulla di grande, perché è cosa che ogni uomo ha in comune con ogni prodotto della natura; ma esserlo in modo da essere insieme l’universale, questa è la vera arte nella vita.

debolezza della volontà, che, come ogni altra debolezza dello spirito, può essere considerata un genere di follia

Naturalmente, per l’individuo etico, l’indifferente non occupa il primo posto, ed egli sa in ogni istante limitarlo. Così si crede anche che esista una provvidenza e l’anima riposa fidente in questa certezza; eppure non verrebbe in mente di cercar di penetrare ogni casualità con questo pensiero o di rendersi coscienti a ogni istante di questa fede.

Voler l’etica senza esser turbati dall’indifferente; credere alla provvidenza senza esser turbati dalla casualità, ecco una salute che si può conquistare e mantenere quando si vuole.

ciò che vale è vedere il proprio compito, opporre resistenza alla tendenza verso il frantumarsi della personalità, tener fermo l’infinito, e non correr dietro alla luna.

L’espressione «conosci te stesso» è stata ripetuta abbastanza spesso, e in essa si è vista la meta di tutti gli sforzi dell’uomo. È giustissimo, ma è ugualmente certo che non può essere la meta se non è anche il principio.

L’individuo etico conosce se stesso, ma questa conoscenza non è solo contemplazione (perché allora l’individuo si coglierebbe soltanto secondo la sua necessità), è una riflessione su se stessi, che in sé è azione, e perciò di proposito ho scelto l’espressione scegliere se stessi invece che conoscere se stessi. Quando l’individuo conosce se stesso non ha finito, al contrario, questa conoscenza è assai feconda, e da questa conoscenza esce il vero individuo.

L’io che l’individuo conosce è insieme l’io reale e l’io ideale; e quest’ultimo individuo l’ha, fuori di sé, come l’immagine a somiglianza della quale egli si deve formare e però, d’altra parte, in sé, in quanto è lui stesso. Solo in se stesso l’individuo ha la meta alla quale deve aspirare, eppure egli ha questa meta al di fuori di sé, poiché aspira a essa. Se infatti l’individuo crede che l’uomo universale stia al di fuori di lui, che esso gli debba venir incontro dal di fuori, egli è disorientato, ha un’idea astratta, e il suo metodo diventa sempre un astratto annullamento dell’io originale. Solo in se stesso l’individuo può avere chiarimenti intorno a se stesso. Perciò la vita etica ha questo duplice aspetto, che l’individuo ha se stesso fuori di sé, e in sé.

Ogni persona può, se lo vuole, diventare una persona paradigmatica; non per il fatto che si sbarazza della sua casualità; ma per il fatto che rimane in essa e la nobilita. Ma la nobilita con lo sceglierla.

sollecitato ora in un senso ora in un altro. Egli ha se stesso come compito, e tale compito consiste soprattutto nell’ordinare, educare, temperare, infiammare, reprimere, in breve, nel raggiungere nell’anima un equilibrio, un’armonia che è frutto delle virtù personali.

Non dico mai di una persona: fa il dovere o i doveri, ma dico: fa il suo dovere, dico faccio il mio dovere, tu fai il tuo. Questo dimostra appunto che l’individuo è insieme l’universale e il particolare. Il dovere è l’universale che si esige da me; io non sono l’universale, quindi non posso nemmeno fare il dovere. D’altra parte il mio dovere è il particolare, qualche cosa per me solo; eppure è il dovere e dunque l’universale. Qui la personalità si mostra nel suo più alto valore. Essa non è senza legge, e nemmeno dà a sé la sua legge; perché la determinazione di dovere permane indipendente da essa, ma la personalità si mostra come l’unità dell’universale e del particolare.

la differenza tra il bene e il male rimane sempre; la responsabilità e il dovere pure, anche se diventa impossibile per un’altra persona dire cosa sia il mio dovere, mentre sarà sempre possibile a lui dire quale è il suo, il che non sarebbe possibile se non fosse posta l’unità dell’universale e del particolare.

dubito che sia mai esistito un uomo che abbia sostenuto che è dovere fare il male. Che egli facesse il male è un’altra cosa, ma nello stesso tempo cercava di far credere a se stesso e agli altri ch’era bene. È impensabile che egli potesse rimanere in questa illusione, poiché egli stesso è l’universale; egli così ha il nemico non fuori di sé, ma in sé. Se invece presumo che il dovere sia qualche cosa di esterno, la differenza tra il bene e il male è tolta; perché quando io stesso non sono l’universale, posso solo mettermi in un rapporto astratto con esso: ma la diversità tra bene e male è incommensurabile per un rapporto astratto.

Proprio quando si comprende che la personalità è l’assoluto, scopo a se stessa, unità dell’universale e del particolare, proprio allora sarà superato ogni scetticismo che prende come punto di partenza l’elemento storico.

Se il mio mondo è il finito, è arbitrario rimanere fermi in qualche punto particolare. Per questa via non si giungerà mai al punto di partenza, perché per cominciare bisognerebbe conoscer la fine, e questo è impossibile. Quando la personalità è l’assoluto, essa stessa è il punto di Archimede dal quale si può sollevare il mondo. È facile vedere che questa conoscenza non può indurre l’individuo a voler respinger da sé la realtà, poiché se egli vuole l’assoluto in questo modo, egli non è nulla del tutto, è un’astrazione. Egli è l’assoluto solo come singolo, e questa conoscenza lo salverà da ogni radicalismo rivoluzionario.

non per questo, ma perché credo che nell’etica non importa tanto la molteplicità dei doveri, quanto l’intensità del sentimento del dovere.

Dà all’uomo energia, passione, ed egli ha tutto. Prendi una fanciulla, che sia scervellata e sciocca, proprio una ochetta: immaginala innamorata profondamente e sentitamente e vedrai che il cervello le verrà da sé, vedrai quanto senno e acume mostrerà per vedere se è corrisposta: immagina che divenga felice e vedrai il dolce incanto fiorire sulle sue labbra; immagina che divenga infelice e sentirai la passione dettarle fredde riflessioni e senno acuto.

non potrò mai divenir eticamente cosciente di me stesso, senza diventar cosciente del mio essere eterno. Questa è la vera prova dell’immortalità dell’anima.

dato che la personalità non ha creato se stessa, ma ha solo scelto se stessa, il dovere è l’espressione simultanea della sua assoluta subordinazione e della sua assoluta libertà

Perché si possa parlare di una teleologia, ci deve essere un movimento; infatti, non appena penso a una meta, penso a un movimento, e anche se penso a qualcuno giunto alla meta, penso sempre a un movimento, perché penso che vi è giunto attraverso un movimento.

Quello che tu chiami bello, non ha in sé il movimento; la bellezza della natura, infatti, è tale senza riguardo al suo divenire, e quando considero un’opera d’arte e penetro il suo pensiero col mio pensiero, è propriamente in me che accade il movimento, non nell’opera d’arte. Perciò avrai ragione dicendo che il bello ha la sua teleologia in sé, ma il modo in cui tu lo concepisci e lo adoperi rimane propriamente una espressione negativa, per indicare che il bello ha la sua teleologia in qualcosa d’altro; perciò non puoi nemmeno adoperare l’espressione apparentemente sinonima, che il bello di cui parli ha una teleologia interna o una teleologia immanente. Perché, non appena tu l’adoperi, esigi movimento, storia; e con questo hai varcato la sfera della natura e dell’arte, e sei nella sfera della libertà e quindi dell’etica.

Così il suo movimento parte da se stesso, attraverso il mondo, e ritorna a se stesso.

per quanto io mi trovi in esso nella condizione di un umile amore; ma so anche che io, in un altro senso, sto al di sopra di questo stato; e ancora so che proprio la stessa cosa accade per mia moglie.

È vero che io non vedo il perfetto compimento ma solo la lotta; eppure vedo anche il compimento non appena lo voglia, non appena ne abbia il coraggio. E senza coraggio non vedo affatto nulla di eterno e così nemmeno nulla di bello.

Se ogni tanto ho un’ora libera, me ne sto alla finestra a guardar la gente, e ogni uomo lo guardo secondo la sua bellezza. Sia esso quanto mai insignificante, quanto mai meschino, io lo guardo secondo la sua bellezza; poiché lo vedo come questo uomo singolo, che pure è l’uomo universale; lo vedo come quello che ha un concreto compito nella vita: egli non esiste in virtù di un altro, anche se è l’ultimo dei servi. Egli ha la sua teleologia in sé, traduce in realtà il suo compito, è vittorioso, lo vedo.

per nulla al mondo me la lascerei strappare e nemmeno per tutto il mondo; perché perderei tutto il mondo, nel momento che perdessi questa fede. Con questa fede vedo la bellezza del mondo, e questa bellezza che io vedo non ha la tristezza e la malinconia che è inseparabile da tutta la bellezza dell’arte e della natura, inseparabile perfino dall’eterna giovinezza degli dei greci. La bellezza che io vedo è felice e vittoriosa e più forte di tutto il mondo. E questa bellezza io la vedo ovunque, anche là dove il tuo occhio nulla vede.

è bello anche vedere un uomo che opera il miracolo più grande, di trasformare il poco in molto.

Ora chiedo un altro giudice, un conoscitore; chiedo un occhio che sappia vedere negli angoli più segreti, che non si stanchi di guardare, che veda la lotta e il pericolo; chiedo un orecchio che senta il lavorio del pensiero, che sappia indovinare come il mio essere migliore si svincoli dalle torture dell’ansietà. Verso questo giudice della lotta elevo il mio sguardo; aspiro alla sua approvazione, anche se non riesco a meritarla. E quando mi verrà porto il calice delle sofferenze, non guarderò il calice, ma chi me lo porge, e non fisserò il fondo del calice, per vedere se lo potrò presto vuotare, ma irremovibile fisserò colui dal quale lo ricevo. Contento prenderò il calice nella mia mano, e berrò; non berrò come a una festa, vuotando il calice alla salute di un altro, godendo io stesso della squisitezza della bevanda. No, ne voglio sentire l’amarezza, e quando la sentirò griderò a me stesso: “alla mia salute”, perché sono fermamente convinto che con questa bevanda acquisto la salute eterna.»

Io credo che sia così che si debba considerare eticamente la lotta per il sostentamento.

Guardati bene però dal non cadere nell’estremo opposto, nella sfida pazzesca che consuma le forze nel nascondere il dolore, invece di adoperarle per sopportarlo e vincerlo.

«Il proprio lavoro però» egli osserva «non dev’essere lavoro nel senso più stretto, ma deve sempre poter venire considerato come piacere.

Così la vita acquista un nuovo significato, perché uno ha trovato il proprio lavoro, un lavoro che, a dir la verità, è il proprio piacere. Con la propria indipendenza lo si cura, perché esso, indisturbato dalla vita, si possa sviluppare in tutto il suo rigoglio. Questo talento pertanto non lo si fa diventare un legno che ci tiene a galla nel naufragio della vita, ma un’ala con la quale ci si eleva sopra la terra;

in tutte le differenze v’è un universale, e in esso si fondano i vari mestieri. Il talento più eminente è un mestiere, e l’individuo che lo possiede non può perder di vista la realtà, non può porsi fuori dell’universale umano, perché il suo talento è un mestiere.

Ciò che io realizzo, come influisco, attraverso la mia opera, sugli altri, questo non sta in mio potere. Perfino colui la cui opera nella vita consiste nell’attuare se stesso, perfino lui, a guardar bene, realizza tanto quanto gli altri

Immagina uno scrittore; non gli verrà mai in mente di pensare se avrà un lettore, o se riuscirà a ottenere qualche risultato coi suoi scritti; egli vuol soltanto afferrare il vero, solo questo cerca. Credi tu che questo scrittore concluda meno di quello la cui penna è sotto la sorveglianza e la guida del pensiero di quello che egli intende concludere?

essere chiamato un eroe, non bisogna tanto riflettere su quello che fa quanto al modo in cui lo fa.

Uno può conquistare regni e paesi senza essere un eroe, un altro invece nel signoreggiare il suo carattere può rivelarsi un eroe.

è offensivo, e perciò non bello, voler amare una persona seguendo le forze oscure nel proprio essere, e non seguendo la coscienza; voler amare in modo che si possa pensare la possibilità della fine di questo amore,

quello che l’amore esige è come la tassa del tempio, un’imposta sacra che si paga con una moneta siffatta che tutta la ricchezza del mondo non basta a far da contrappeso se il conio è falso.

Vede la relazione come l’assoluto e perciò vede l’amore secondo la sua vera bellezza, cioè secondo la sua libertà, e così comprende anche la bellezza storica.

è la relazione che è l’assoluto

La donna capisce il finito, lo comprende fin nelle radici: per questo essa è adorabile, e tale, a guardar bene, è ogni donna; per questo è graziosa, e nessun uomo lo è; per questo è felice, come nessun uomo può o deve essere; per questo è in armonia coll’esistenza, come nessun uomo può o deve essere. Perciò si può dire che la sua vita è più felice di quella dell’uomo, poiché colui che spiega qualche cosa sarà più perfetto di colui che va in cerca di una spiegazione. La donna spiega le cose finite, l’uomo va a caccia di quelle infinite. Così deve essere, e ognuno ha il suo dolore; la donna partorisce con dolore, ma l’uomo concepisce le idee con dolore; la donna non conosce il terrore del dubbio o le pene della disperazione, essa non sta al di fuori delle idee, ma le riceve di seconda mano

a chi ha, verrà dato, e avrà in sovrabbondanza.

Condizione assoluta per l’amicizia è l’unità della concezione di vita. Quando essa esiste, non ci si sente tentati a voler giustificare la propria amicizia con sentimenti oscuri e con inspiegabili simpatie. E non succederà che l’amicizia sia, come il tempo, mutevole di giorno in giorno. Non si vuole disconoscere l’importanza dell’inspiegabile simpatia; infatti in senso rigoroso non si è amici di chiunque condivida la nostra concezione di vita. Ma non ci si deve nemmeno limitare alla mera simpatia in tutto il suo mistero. Una vera amicizia esige sempre la coscienza, ed è questo che la mette a un piano ben più alto dell’esaltazione. La concezione di vita in cui si è concordi deve essere però una concezione positiva. Così il mio amico e io abbiamo in comune una concezione positiva.

Chi non vuol combattere con le realtà, deve combattere coi fantasmi.

In questo modo la vita ha significato per me, tanto da sentirmene contento e soddisfatto. Nello stesso tempo vivo una vita più alta, e quando a volte accade che io respiri questa vita più alta nel respiro della mia vita terrena e familiare, mi stimo beato, e si fondono per me l’arte e la grazia. È così che io amo l’esistenza, perché è bella e ne spero una ancor più bella.

Egli saprà che l’universale non è nulla di singolo. Se dunque non vuol deludere se stesso, trasformerà il singolo nell’universale. Nel singolo vedrà molto più di quello che vi è immediatamente; per lui esso è l’universale. Egli verrà in aiuto al singolo e gli darà il significato dell’universale.

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