2000 il premio Nobel per la medicina fu assegnato a Eric Kandel per aver dimostrato che con l’apprendimento le connessioni fra i neuroni aumentano. Il ricercatore dimostrò anche che l’apprendimento può «attivare» geni capaci di modificare la struttura neurale
Uno dei modi più efficaci consiste nell’utilizzare il pensiero stesso per stimolare i circuiti cerebrali, ed è per questo che gran parte degli interventi a cui ho assistito associavano la consapevolezza e l’attività mentale all’utilizzo dell’energia.
cervello si è evoluto molti milioni di anni dopo il corpo, e per sostenere il corpo. Nel momento in cui il corpo fu dotato di un cervello, il corpo cambiò, in modo che corpo e cervello potessero interagire e adattarsi a vicenda. Non solo il cervello invia segnali al corpo per influenzarlo, ma anche il corpo invia segnali al cervello per influenzarlo, e pertanto esiste una comunicazione costante e in entrambe le direzioni fra corpo e cervello. Il corpo è ricchissimo di neuroni; solo nel tratto digerente ce ne sono cento milioni.
Talvolta è possibile manipolare il principio use it or lose it per annullare connessioni cerebrali inutili, poiché neuroni che non si attivano insieme non si cablano fra loro. Supponiamo che una persona abbia preso la cattiva abitudine di mangiare ogni volta che è ansiosa, associando il piacere del cibo alla sofferenza emotiva; per spezzare l’abitudine è necessario imparare a separare le due cose. Quella persona potrebbe vietare a se stessa di andare in cucina quando è ansiosa, finché non trova un modo migliore per gestire le proprie emozioni.
somma di queste valutazioni determina le nostre aspettative sul futuro, e queste aspettative svolgono un ruolo fondamentale nel livello di dolore che proviamo. Poiché il cervello può influenzare la nostra percezione del dolore cronico, Melzack parla di «output del sistema nervoso centrale».9 Pertanto il sistema del dolore non è un circuito a senso unico dal corpo al cervello, ma ricicla costantemente i segnali, dal corpo al cervello e viceversa. La risposta al dolore non si ferma una volta che il segnale doloroso raggiunge il cervello, ma innesca una miriade di risposte automatiche che mirano a evitare ulteriori danni e a favorire la guarigione.
Paul Schilder, il quale mise in evidenza come l’immagine corporea non coincidesse con il corpo fisico.
Ciò che dimostra questo studio notevole è che l’esperienza del dolore non è determinata interamente dagli input sensoriali inviati dai recettori del dolore, ma è influenzata dall’immagine corporea.
Questo ci ricorda che nel caso del dolore la formazione del senso del corpo è dinamica, cioè viene corretta in continuazione, a seconda dell’input visivo. Ciò dimostra che la visualizzazione può modificare i circuiti del dolore: ecco perché Jan Sandin era in grado di osservare i disegni del cervello e immaginare che il segnale del dolore si restringesse
In qualunque modo la si voglia definire, la rappresentazione di noi stessi può influenzare l’immagine corporea principale.
mente può indurre il rilascio di un antidolorifico naturale che il cervello produce normalmente. E a differenza dei farmaci come la morfina, questi oppiacei non inducono dipendenza.
il corpo è una via d’accesso sia al cervello che alla mente.
Il 15 percento delle cellule cerebrali sono neuroni; il restante 85 percento sono cellule gliali.
Il cervello neuroplastico si è evoluto in esseri che si spostavano ovunque, alla continua ricerca di territori sconosciuti da esplorare. In altre parole, il cervello si è evoluto per imparare.
i sistemi neuroplastici richiedono il movimento fisico per generare nuove cellule e produrre il nerve growth factor o fattore di crescita nervoso).
pare che fra le cause vi siano certe sostanze tossiche, ad esempio i pesticidi,
il ruolo svolto dall’ambiente e dall’attività fisica nel modificare il decorso di disturbi neurodegenerativi catastrofici che si riteneva avessero una causa genetica.
Di fatto il Parkinson ha così tanti sintomi differenti, alcuni dei quali riguardano la sfera motoria, che non esistono due pazienti con la medesima esperienza. Inoltre, a seconda della progressione più o meno lenta dei sintomi un paziente può rimanere, come nel caso di Pepper, nella fase prodromica per decenni prima che la malattia si manifesti pienamente.
In generale, come sappiamo oggi, è più probabile che il cervello si deteriori con l’inattività che con un uso eccessivo – purché il carico di lavoro venga aumentato lentamente e con il riposo necessario fra una sessione e l’altra, idealmente iniziando prima che la progressione della malattia sia molto avanzata.
qualunque età, quando camminiamo rapidamente produciamo nuove cellule nell’ippocampo, la regione cerebrale che svolge un ruolo chiave nel convertire la memoria a breve termine in memoria a lungo termine.
Lo psicologo Mark Rosenzweig riuscì a dimostrare che gli animali cresciuti in ambienti ricchi di stimoli sviluppavano più cambiamenti neuroplastici e producevano maggiori quantità di neurotrasmettitori rispetto agli esemplari vissuti nelle normali gabbie per topi e ratti. I cervelli di questi animali avevano un volume maggiore ed erano più pesanti.
stimolazione cognitiva fornita da un ambiente ricco di sollecitazioni e di oggetti che i topi potevano esplorare ritardava in modo significativo l’insorgenza della malattia.33 Questa fu in assoluto la prima dimostrazione degli effetti benefici della stimolazione ambientale sul modello genetico di un disturbo neurodegenerativo
Sappiamo anche che l’esercizio fisico aumenta il numero di connessioni fra neuroni. È molto probabile che in questo caso il BDNF, stimolato dall’esercizio, svolga un ruolo fondamentale. Quando eseguiamo un’attività che richiede l’attivazione simultanea di certi neuroni, il cervello rilascia BDNF. Questo fattore di crescita consolida le connessioni fra quei neuroni e contribuisce a «cablarli» fra loro in modo che in futuro si attivino insieme e in modo affidabile.
una combinazione di apprendimento ed esercizio può contribuire a mantenere la neuroplasticità se non addirittura ad aumentarla, poiché l’apprendimento attiva i geni che esprimono più BDNF, il quale a sua volta favorisce l’apprendimento. Quindi, più le persone imparano, più hanno facilità a imparare e favoriscono i cambiamenti cerebrali che avvengono con l’apprendimento. Apprendimento ed esercizio fisico sembrano essere un’ottima combinazione. Man mano che le persone raggiungono la mezza età, e il cervello comincia a degenerare, l’esercizio diventa più, e non meno, importante, ed è uno dei pochi modi per compensare questo processo. Comprendere questo punto è di fondamentale importanza, poiché moltissime persone fanno una vita sedentaria, seduti di fronte al computer per gran parte della giornata. Numerosi studi mostrano che uno stile di vita sedentario è un fattore di rischio significativo non solo per le patologie cardiache, ma anche per il tumore, il diabete e le patologie degenerative.53 Se in medicina esiste un rimedio per tutti i mali, be’, è camminare.
Forse la cosa peggiore che un paziente può fare, quando riceve la diagnosi, è fare meno attività fisica.
Oliver Sacks descriveva un paziente parkinsoniano immobilizzato che saltò su dalla sedia a rotelle per salvare un uomo che stava annegando.60 Mentre un malato di Parkinson non potrebbe compiere un’azione simile volontariamente, in situazioni d’emergenza possono attivarsi involontariamente altre vie metaboliche cerebrali, permettendo al paziente di iniziare il movimento. Questo tipo di movimento inaspettato è chiamato cinesia paradossa.
Dire ai pazienti che soffrono di un disturbo motorio e non fare nulla per cambiare la situazione è una profezia che si autoavvera. Sarebbe preferibile dire: «Lei ha un disturbo che compromette gravemente la motivazione motoria, oltre al movimento stesso. Ma alla luce di questo, e grazie a uno sforzo mentale conscio, potrebbe riuscire a superare questo problema in modo significativo».
riviste mediche ufficiali più importanti, Neurology,
Camminare era un fattore centrale di un semplice programma terapeutico che riduceva il rischio di demenza di uno stupefacente 60 percento
«Solo una piccolissima percentuale di persone ha inscritto in modo indelebile nel patrimonio genetico della propria famiglia il morbo di Alzheimer».
fattori ambientali «interagiscono con […] il patrimonio genetico favorendo o meno la demenza».
durante il sonno le cellule gliali aprono canali speciali che permettono di eliminare dal cervello i prodotti di rifiuto e gli accumuli tossici (fra cui le proteine sintetizzate nella demenza) attraverso il fluido cerebrospinale in cui è immersa gran parte del cervello.
la deprivazione di sonno provoca un peggioramento delle funzioni cerebrali: dormire troppo poco intossica il cervello
Non trattiamo le malattie, ma le persone. Per motivi genetici, e a causa della stessa neuroplasticità, non esistono due cervelli somiglianti, né due problemi o lesioni cerebrali sono identici.
È il modesto esito della mia esperienza coi malati che, secondo solo al loro bisogno di aria pura, è il bisogno di luce; che, dopo una stanza chiusa, ciò che è più dannoso è una stanza buia; e che i pazienti non desiderano solo la luce, ma la luce diretta del sole […] Si pensa che ciò abbia effetto solo sullo spirito. Non è affatto così. Il sole non è solo un pittore, ma uno scultore. FLORENCE NIGHTINGALE, Notes on Nursing (1860)1
L’uso della luce per curare l’ittero neonatale divenne una pratica comune. La scoperta fatta per caso dalla Ward dimostrava che non siamo opachi come pensiamo di essere. Infatti la scoperta della Ward, del dottor Dobbs e del dottor Cremer era già nota nel mondo antico, ma si era persa con la medicina moderna.
Helios, la divinità greca del sole – era considerata così potente che gli edifici venivano progettati per catturare quanta più luce solare possibile. Le leggi romane prevedevano perfino il diritto di accesso al sole, per garantire che la luce entrasse nelle case della gente (di qui la nascita del solarium). Alla fine non ci si preoccupò più di far rispettare queste leggi, e le proprietà benefiche della luce vennero pressoché dimenticate.
se la luce solare influenza l’umore, agisce anche sul cervello.
Ogni mattina, quando ci svegliamo, la luce entra nei nostri occhi e attraversa il nucleo soprachiasmatico, riattivando i nostri apparati. Nell’uomo, dopo il tramonto, i messaggi provenienti dagli occhi segnalano che all’esterno non c’è più luce; il nucleo soprachiasmatico, a sua volta, invia quel messaggio alla ghiandola pineale, che rilascia la melatonina, un ormone che regola i ritmi sonno-veglia.
i trattamenti con laser a bassa intensità permettevano al corpo di utilizzare la propria energia e le proprie risorse cellulari per guarire da sé,
Le immagini mostravano pazienti con ferite così gravi che la pelle non era in grado di rimarginarsi, mentre ossa e muscoli rimanevano esposti. Molti di questi pazienti erano rimasti con ferite aperte e infette per più di un anno, e tutti i trattamenti noti non avevano avuto successo. In alcuni casi i medici avevano optato per l’amputazione dell’arto. Invece, dopo alcuni trattamenti laser, il corpo aveva cominciato a guarire le ferite, che nelle settimane successive si erano rimarginate. Kahn mostrò casi di ulcere diabetiche incurabili, ferite profonde causate da incidenti automobilistici, terribili infezioni da herpes, fuoco di sant’Antonio, ustioni, psoriasi ed eczemi devastanti – che non sarebbero mai guariti con i trattamenti standard, ma che erano stati risolti con la luce laser.
tumori benigni della pelle simili a cicatrici, potevano trarre beneficio, così come la pelle cadente dovuta alla vecchiaia, poiché il laser stimola lo sviluppo di collagene.
Molecole differenti assorbono lunghezze d’onda luminose differenti. Ad esempio, i globuli rossi assorbono tutte le frequenze tranne quelle del rosso, lasciando visibili queste ultime. Nelle piante, la clorofilla verde assorbe tutte le lunghezze d’onda tranne quelle del verde.
Si tende a pensare che le molecole fotosensibili si trovino solo negli occhi; in realtà ne esistono quattro tipi: la rodopsina (nella retina, che assorbe la luce per la visione), l’emoglobina (nei globuli rossi), la mioglobina (nei muscoli) e, soprattutto, i citocromi (in tutte le cellule). I citocromi spiegano perché i laser possono curare così tante condizioni diverse: queste proteine convertono l’energia luminosa proveniente dal sole in energia utilizzabile dalle cellule. Gran parte dei fotoni vengono assorbiti dalle «centrali elettriche» presenti nelle cellule, i mitocondri.
Come mostrò Einstein, il colore della luce è una misura di quanta energia contiene.
«esiste una dose ottimale di luce per ciascuna applicazione; dosi più alte o più basse rispetto a quella ottimale possono non avere alcun effetto terapeutico». Talvolta, però, «dosi più basse sono più efficaci rispetto a dosi più alte».
Nightingale wards, sono forniti di numerose finestre disposte strategicamente in modo che i pazienti siano esposti alla luce per tutta la giornata.
Studi recenti indicano che la luce non solo accelera la guarigione, ma riduce il dolore e migliora la qualità del sonno; poiché aumenta i livelli di vitamina D, la luce può anche ridurre il rischio di alcune forme di cancro.
la luce artificiale che utilizziamo spesso non contiene le frequenze che favoriscono la vita. Abbiamo bisogno dell’intero spettro luminoso non solo in certi eleganti ambienti pubblici, ma soprattutto negli spazi dedicati al lavoro e alla vita di tutti i giorni. Il danno causato da una vita povera di luce è nascosto. Possiamo sopportare l’oscurità per un certo tempo, ma la gioia che proviamo quando ci ritroviamo in un luogo soleggiato non è solo il segno di un piacere estetico: è un’indicazione del fatto che la nostra vita dipende dalla luce.
«Judo», che significa «via della gentilezza», prevedeva anche una visione olistica della vita, sia fisica che mentale.
«che l’unità di mente e corpo sia una realtà oggettiva. Non si tratta solo di parti in qualche modo collegate l’una all’altra, ma di un tutto indispensabile al funzionamento».
uno stimolo sensoriale è molto intenso (ad esempio, una musica a volume molto alto), possiamo notare un cambiamento nel livello di quello stimolo solo se il cambiamento è piuttosto significativo. Se lo stimolo è debole, allora possiamo cogliere cambiamenti molto piccoli. (In fisiologia questo fenomeno è detto legge di Weber-Fechner).
La lentezza nel movimento è il segreto della consapevolezza, e la consapevolezza è il segreto dell’apprendimento
Ridurre lo sforzo ogni volta che è possibile. L’uso della forza è l’opposto della consapevolezza; quando siamo sotto sforzo non impariamo.
ogni bambino impara a camminare in un modo diverso, per prove ed errori,
«nell’azione corretta non c’è un muscolo che sia contratto più degli altri […] La sensazione è quella di un’azione senza sforzo».
Pensare in termini di errore e giudizio negativo pone la mente e il corpo in uno stato di tensione che non favorisce l’apprendimento. L’allievo doveva esplorare e imparare nuovi modi per muoversi, e nel corso di questo processo sviluppare e riorganizzare, non «riparare», il sistema nervoso e il cervello.
Uno dei principali modi con cui Feldenkrais aiutava un cervello danneggiato a imparare consisteva nell’utilizzare il proprio corpo per sentire, trovare una corrispondenza e identificarsi con il sistema nervoso dell’allievo. Il tatto era un elemento fondamentale: Feldenkrais riteneva che, quando il suo sistema nervoso si connetteva con quello dell’altra persona, insieme formassero un unico sistema, «un nuovo insieme […] una nuova entità […] Chi tocca e chi è toccato avvertono ciò che sentono tramite le mani che si uniscono, anche se non capiscono e non sanno cosa stanno facendo. La persona toccata diviene consapevole di ciò che sente l’altra e, senza capire, ne modifica la configurazione in modo che si adatti a ciò che le viene richiesto. Quando tocco non cerco niente dalla persona che tocco; sento solo ciò di cui ha bisogno […] che se ne renda conto o meno, e ciò che posso fare in quel momento per far sentire meglio la persona».
Feldenkrais non parlava di «cura», anche se molti lo avrebbero fatto. Preferiva il termine miglioramento. «Un miglioramento» scrisse «è un progresso graduale che non ha limite. La ‘cura’ è il ritorno a uno stato funzionale precedente, non necessariamente eccellente né buono».
Feldenkrais diceva di non volere corpi flessibili, ma cervelli flessibili (che a loro volta avrebbero prodotto corpi flessibili).
Secondo Feldenkrais, questi tentativi di saltare le fasi dello sviluppo sono un grave errore: nessuno ha mai imparato a camminare… camminando. Perché un bambino impari a camminare è necessario che siano già state acquisite altre abilità – abilità a cui gli adulti non pensano o che non ricordano di aver acquisito, come ad esempio inarcare la schiena e sollevare la testa. Solo quando questi tasselli saranno stati sistemati al loro posto un bambino imparerà a camminare spontaneamente.
dal maestro Kanō e dal judo è la reversibilità: affinché sia intelligente, un’azione deve essere compiuta in modo che, in qualunque momento, possa essere interrotta o invertita, ossia rivolta nella direzione opposta. Il segreto è agire – o vivere – in modo non compulsivo. (Compulsione e differenziazione sono termini opposti. Un’azione compulsiva viene eseguita sempre nello stesso modo e, paradossalmente, poiché richiede pochissimo sforzo mentale, in modo meccanico, con scarsissima consapevolezza.) In Higher Judo Feldenkrais scrisse: «Una cosa negativa nel judo è provare a fare qualcosa con tanta determinazione quanto essere incapaci di cambiare idea quando è necessario».43 Nel judo come nella vita, non dobbiamo mai rimanere legati – a un’abitudine, un modo di pensare, un atteggiamento –, e anche quando pensiamo di essere bloccati, spesso non lo siamo. Nel judo, anche quando si viene bloccati a terra dall’avversario, «ci si dovrebbe sempre ricordare che i termini ‘immobilizzazione’ e ‘presa’ non descrivono una situazione reale, poiché fanno riferimento a un’idea di conclusione e immobilità che nell’azione non esistono. Un’immobilizzazione è dinamica e si modifica costantemente nel tempo. Di solito l’avversario si libera appena smettiamo di anticipare e prevedere la sua prossima mossa».
Solo una direzione non può essere invertita: gli essere viventi vanno inesorabilmente verso la morte. È qualcosa che non possiamo modificare; ma possiamo modificare il modo in cui lo facciamo. Possiamo affrontare la vita con o senza consapevolezza. Meditations (Emperor of Rome Marcus Aurelius)
Bates elaborò teorie alternative per spiegare l’insorgere di problemi di vista come miopia, presbiopia e strabismo: lo scienziato newyorkese era convinto che spesso questi disturbi siano causati dalle nostre abitudini visive.
Se la miopia non viene bloccata e fatta regredire – sosteneva Bates – i problemi aumenteranno, perché la miopia elevata è associata a un aumentato rischio di distacco della retina, glaucoma, degenerazione maculare e cataratta, tutte patologie che possono condurre alla cecità.11 Per Bates eliminare la necessità di indossare occhiali facendo regredire la miopia era una forma di medicina preventiva, non una questione meramente estetica.
prescrivo i quattro esercizi per curare gli occhi che i monaci utilizzavano negli antichi monasteri» gli disse Rinpoche, vedendo gli occhi gonfi e infiammati del suo discepolo. «Ti aiuteranno».
quando si chiudono gli occhi e si visualizza un semplice oggetto,14 come per esempio la lettera a, nel neuroimaging la corteccia visiva primaria si attiva proprio come avverrebbe se si stesse guardando effettivamente la lettera a; lo stesso fenomeno si registra anche nel caso di immagini mentali più complesse.
ricorrere al palming a occhi chiusi sembra rilassare gli occhi più del sonno. Ecco perché il palming e le tecniche meditative consistenti nella visualizzazione del nero blu sono stati fondamentali per la guarigione del sistema visivo e per gli occhi
La semplice consapevolezza rappresenta un fattore di cambiamento, come quando ci rendiamo conto che stiamo trattenendo il fiato per la tensione e subito riprendiamo a respirare.
Occidente queste antiche idee buddiste – modificate da Bates, Feldenkrais e Webber – sono state ignorate perché non esisteva la comprensione della nozione di plasticità, del sistema di circuiti cerebrali, del ruolo del movimento nella visione e della stretta connessione fra cervello e resto del corpo. In questo capitolo ho descritto quanto esse siano state fondamentali per risolvere un caso di cecità. Essendo la vista un meccanismo molto complesso, esistono svariati approcci alla cecità. Non voglio dire che ciò che Webber ha fatto per sé stesso funzionerà per chiunque. Sostengo solo che i principi di visione naturale che stanno dietro al suo successo possono avere un’applicazione molto più estesa di quanto non abbiano adesso, dai casi meno gravi di chi ha una visione sfocata a quelli più seri, nonché nella prevenzione di futuri problemi di vista.
l’attività cerebrale e mentale non possono essere comprese se considerate separatamente dal resto del corpo.
La cosa che più lo faceva soffrire quando era cieco era il non poter più vedere o leggere le emozioni sui volti delle persone; Meditations (Emperor of Rome Marcus Aurelius)
la lingua rappresenta una corsia preferenziale per attivare l’intero cervello. La lingua è uno dei nostri organi più sensibili. «Quando i carnivori cominciarono ad abitare le terre emerse» spiega Yuri «i primi punti di contatto con la terra furono la lingua e la punta del naso. Sia la lingua che il naso sono fatti per esplorare l’ambiente, per il contatto ravvicinato. Parecchi animali, dagli insetti alle giraffe, fanno un uso molto estensivo della lingua, che è un organo capace di estrema precisione nel movimento, e con essa il cervello ha sviluppato una stretta connessione».
Per millenni la lingua ha avuto un ruolo centrale nella diagnosi nella medicina cinese e orientale, in quanto si tratta di un organo interno che può essere esaminato all’esterno del corpo. Secondo i cinesi il corpo umano è dotato di canali energetici, i cosiddetti meridiani, attraverso i quali scorre l’energia (detta chi o qi). Due di questi meridiani fondamentali,5 il «vaso governatore» e il «vaso concezione», confluiscono nella lingua.
probabilmente il maggiore esperto al mondo di comunicazione pelle-cervello attraverso l’elettrostimolazione, processo che lui definisce «stimolazione elettrotattile». Il suo progetto di lungo periodo è utilizzare tutte le scoperte fatte finora allo scopo di elaborare linee guida per la costruzione di apparecchi elettrotattili. Ma adesso che hanno inventato il PONS questo obiettivo di più vasta scala subisce continue interruzioni, perché Kurt deve costantemente occuparsi di riprogettarlo e migliorarlo. «Insomma» spiega, «la gente arriva qui col bastone e se ne va camminando con le proprie gambe».
«Noi vediamo con il cervello, non con gli occhi» diceva Bach-y-Rita, sostenendo che gli occhi sono semplicemente una «porta di accesso dati», il cui recettore – la retina – converte le informazioni provenienti dallo spettro elettromagnetico che ci circonda (in questo caso, la luce) in scariche elettriche che vengono trasmesse lungo i nervi. Nel cervello non ci sono immagini o raffigurazioni visive (così come non ci sono suoni, odori o sapori), ma solo schemi di segnali elettrochimici.
I sensi fornivano vie dirette per il ricablaggio del cervello
sintomi della commozione cerebrale sono spesso presi in scarsa considerazione è il fatto che di solito dopo una concussione le TAC e le risonanze magnetiche non segnalano anomalie, anche in caso di lesione dei tessuti. Quando muovendosi nello spazio la testa urta contro un oggetto, il cervello – fino a quel momento sottoposto a un’accelerazione – subisce una decelerazione brusca urtando contro le pareti interne del cranio; quindi, solitamente, subisce un contraccolpo all’indietro e verso l’alto contro il lato opposto del cranio. Questi urti possono indurre un rilascio di sostanze chimiche e di neurotrasmettitori a livello neuronale e provocare forte infiammazione, disturbo della trasmissione dei segnali elettrici, lesioni e morte delle cellule cerebrali, depressione metabolica. Gli effetti di una concussione non sono confinati al punto d’impatto, così come una martellata sul vetro di una finestra non infrange solo la parte colpita: si verifica un enorme trasferimento di energia che si irradia a tutto il cervello, che può interessare non solo il corpo cellulare dei neuroni, ma anche gli assoni che collegano i neuroni fra loro. Il danno assonale può essere rilevato solo con una nuova tecnica di risonanza magnetica, chiamata «di diffusione». Poiché gli assoni collegano diverse aree del cervello, una lesione assonale può provocare problemi in tutte le aree connesse, determinando ripercussioni su molte funzioni (sensoriali, motorie, cognitive, dell’umore), a prescindere da dove si sia verificato il punto d’impatto iniziale. Forse questo spiega anche come mai sintomi stranamenti simili si possano presentare in individui che hanno subito traumi in punti diversi della testa.
come nel film will Smith zona d ombra
Yuri è molto pignolo per quanto riguarda la postura perché vuole che l’energia possa fluire senza difficoltà, e così Sue, ancora in piedi, entra in uno stato meditativo. Deve tenersi eretta come se la sua testa fosse appesa a un filo invisibile; le spalle sono basse, in modo che il collo non si inarchi e il flusso di sangue verso il tronco encefalico non sia ostacolato. Deve respirare con il diaframma, cercare di avvertire se nel corpo ha delle tensioni e cercare di allentarle. Le ginocchia non devono toccarsi e i fianchi restare allineati. Quattromila anni di pratiche orientali hanno stabilito qual è la postura ideale per il rilassamento meditativo che, come ha scoperto Yuri, aiuta a portare il sistema nervoso nello stato corretto per poter trarre vantaggi dall’uso del dispositivo.
una posizione da tai chi per far sì che il suo corpo rigido riprenda vita.
«Non c’è niente di più pratico di una buona teoria» risponde Yuri ripetendo il motto dell’Accademia sovietica delle Scienze.
La genialità dell’approccio messo in atto dai ricercatori di Madison consiste nell’abbinare l’elettrostimolazione della rete con degli esercizi di riabilitazione per risvegliare tutto il sistema funzionale.
Grazie alla neuromodulazione si ha una rapida diminuzione delle ipersensibilità del paziente e, a quanto pare, un resettaggio del sistema reticolare attivatore del tronco encefalico dal quale dipende il livello di arousal, e in questo modo si ripristina il normale ciclo del sonno. Ciò conduce al neurorilassamento, il quale permette ai circuiti di riposare e ricaricare l’energia. Una continua neurostimolazione, associata all’energia ritrovata del paziente, permette a quest’ultimo di attivare i circuiti dormienti attraverso l’esercizio mentale e fisico, che a questo punto diventa progressivamente più fattibile. Il paziente ha la possibilità di superare la condizione di learned non-use che, a mio parere, si instaura quasi sempre in conseguenza di una lesione o di una patologia cerebrale solamente dopo che l’omeostasi è stata corretta, che il cervello è stato modulato e si è riposato e che si ha un rifornimento di energia sufficiente a poter ripristinare i normali ritmi cerebrali.
Ecco perché è fondamentale, ogni volta che è possibile, mirare alla salute generale delle cellule del cervello oltre che ai problemi specifici di connessioni fra neuroni.
Norman Mailer, romanziere dalla penna caustica, in Pubblicità per me stesso: «In ogni attimo della nostra esistenza, o si progredisce o si arretra; si vive un poco di più, o si muore un po’».
l’autoregolazione, il mantenimento dell’ordine in mezzo al caos, è l’essenza stessa della vita. È ciò che distingue la più piccola creatura vivente all’interno del suo sottile involucro dalla violenza del caos inanimato che la circonda. Ed è ciò che distingue noi umani, finché siamo animati, dal caos che ci attende quando perdiamo quella capacità di mantenere l’ordine. Il nostro corpo regredisce verso il caos e diventa inanimato. Pertanto, se l’autoregolazione – curarsi attraverso l’omeostasi – è così benaccetta, così familiare e così affascinante è perché non si tratta di una cosa che pratichiamo solo occasionalmente: è ciò che facciamo in ogni momento, finché salute e vita ci accompagnano.
Probabilmente la sua scoperta più importante fu che l’orecchio non è un organo passivo, ma possiede l’equivalente di uno zoom che gli permette di focalizzarsi su certi rumori e scartarne altri: Tomatis lo chiamò zoom uditivo. Quando si entra in una stanza dove si sta svolgendo una festa il nostro udito è colpito da una baraonda di suoni, finché poi non si zumma su determinate conversazioni, ognuna delle quali si svolge in frequenze sonore leggermente diverse. Una volta che un individuo decide intenzionalmente di ascoltare una particolare conversazione, l’ascolto – da un punto di vista fisiologico – non è mai passivo, perché nell’orecchio interno ci sono due muscoli che gli permettono di focalizzare l’attenzione su delle particolari frequenze e lo proteggono dai suoni forti e improvvisi. Nella maggioranza delle persone, questo aggiustamento muscolare che rende possibile lo zoom uditivo avviene quasi sempre in maniera automatica e inconsapevole. In caso di rumori forti, i muscoli si contraggono di riflesso per chiudere l’orecchio. Tuttavia, lo zoom talvolta può essere conseguenza di una certa componente di intenzionalità, come quando tentiamo di sintonizzarci su un’importante conversazione all’interno di una stanza molto rumorosa o di imparare un’altra lingua
«Non ci relazioniamo con le persone direttamente, ma attraverso la nostra voce. La voce è un medium. Il cervello è un utilizzatore di strumenti, e la voce è uno strumento». Il bambino nella pancia percepisce molti suoni di bassa frequenza (come il battito cardiaco e la respirazione), poi ecco che ogni tanto irrompe la voce della madre, la quale è caratterizzata da suoni di bassa ma anche di alta frequenza. «Possiamo immaginare che il feto faccia un primo tentativo di ‘sintonizzarsi’ sul suono più gradevole, quello della voce materna»